Mercoledì 20 novembre alle 21

AD ALTA VOCE, letture a cura di Patrizia Pinto

Un altro appuntamento con le letture ad alta voce in libreria (che come al solito cadono il terzo mercoledì del mese).

Come abbiamo sempre detto ci sono poche cose più rilassanti dell’ascoltare una voce suadente, come quella della nostra Patrizia Pinto, che in questo caso si cimenta con alcune delle fiabe de Le mille e una notte. Di solito il piacere è anche maggiore se le mani sono impegnate in un lavoro a maglia o nel disegno o in altra attività purché non troppo impegnativa …

Per partecipare basta arrivare in libreria entro le 21 ed eventualmente portarsi lana e ferri (o carta e matite) e la voglia di ascoltare.

Come sempre è opportuno aggiungere qualche parole sulla scelta delle letture.

Ogni immagine che compare nelle Mille e una notte, una strada, un angelo travestito, un tappeto, un mercante assai ricco… ne chiama a raccolta tante altre, in un gioco di metafore, di specchi, di rimbalzi, di inganni, di allusioni… Il destino, che di quest’opera è protagonista assoluto, crea gli incroci più improbabili, incongrui, quasi sempre inattesi: il popolo che si muove nel ricco e variegato paesaggio dei racconti va a caccia d’avventure dall’esito incerto e sorprendente. La presenza assente della sorte muove le genti, dà loro voce e silenzi, turbamenti e furie, passioni e meschinità. La vita di ognuno obbedisce a un disegno criptico e iniziatico di Dio, «signore generoso, artefice degli uomini e del creato», che qui è l’oscuro burattinaio di esseri indaffarati e affannati, brulicanti, ritratti mentre creano e combattono prodigi, seducono e si lasciano sedurre, tramano nel caos per intascare pezzi di vita, tra amori casti e sospirosi, e violente scene d’alcova. L’universo delle Mille e una notte è una società rappresentata in tutti i suoi ranghi, dalla vetta più alta della piramide a lerci bassifondi. Nel popolo sopravvivono, come un residuo della coscienza arcaica, gli spiriti dei jinn, di quella miriade di feticci e simboli pagani cancellati dal monoteismo musulmano. Le paure aleggiano in forma di spiritelli e oggetti incantati, colorando le storie di infantile, favolistico trasognamento e lasciando nel lettore l’impressione di attraversare, sì, il paese delle meraviglie, ma muovendosi lungo una linea di confine tra sincronismo del bambino e diacronia dell’adulto, tra preistoria e storia. (Vincenzo Cerami dall’introduzione a Le mille e una notte, nell’edizione Donzelli)

Si è parlato spesso del contrasto tra il successo di questa raccolta di novelle in Occidente rispetto alla poca notorietà che ebbe nel mondo arabo. In effetti, non se ne trova traccia nelle anthologie, non ebbe grande prestigio e rimase ancorata alla letteratura intermediaria tra quella dotta e quella orale che si trasmette a sua volta nello scritto e nell’orale come tante epopee arabe come Sirat Bani Hilal. Era considerata lontana dall’Adab, «la grande prosa», e linguisticamente criticabile perché densa di dialetti o meglio di parlate distanti dall’arabo letterario fusha, né abbastanza equilibrata tra la serietà e la comicità al jiid wa-l-hazl molto cari alla letteratura di prestigio al Adab.

Dal punto di vista filologico l’opera per intero conta tra 100 e 250 racconti, di cui un nodo stabile di trenta hikaya che ritroviamo in tanti codici. Sono generalmente cicli di racconti, dal momento che sono incatenati per cui il terzo comincia grazie al secondo che a sua volta è incorporato nel primo. Un complesso labirinto testuale che ha fatto scalpore nel mondo della filologia araba. In questo magma si parla spesso di racconti più noti, più tradotti e più rilevanti di altri, come ad esempio quelli che cominciano con un ciclo di storie oppure quelle degli animali meravigliosi, di certe città o come quella di Sindbad il marinaio.

Tutti sono d’accordo sulla trasmissione orale di questi racconti, responsabile di tutti i canali di diffusione della cultura arabo-musulmana. Per più di quattro o cinque secoli Le mille e una notte fu un’opera libera con aggiunte e tagli possibili. Si potrebbe forse immaginare o ipotizzare l’esistenza di una matrice originaria da identificare in un manoscritto unico di tutte queste storie.

Per quanto concerne la parte scritta si sa che l’esistenza di codici in lingua araba risalgono per lo più al IX e X secolo e poi per qualche decennio spariscono per rivedere riemergere quest’opera nel XVIII secolo con la traduzione francese di Galland. In linea di massima viene scoperta in Occidente inizialmente a Parigi e dopo nelle principali città europee. Un personaggio poliglotta, questo Antoine Galland che conosceva l’arabo, il turco e il persiano e che aprì le porte di questo mondo fantastico tramite la traduzione diretta dal testo arabo. Censura, aggiunge e adatta à sa guise, ma ha avuto il merito di radunare le storie e concluderle come le fiabe con quella morale educativa grazie anche al registro comico o drammatico. Accanto a Galland c’era un altro traduttore storico, Charles Mardrus, che fece delle novelle più audaci un vero e proprio oggetto di esaltazione letteraria.

Molti storici hanno sostenuto le radici indiane e persiane delle Mille e una notte, mentre Malek Chebel l’antropologo e studioso più recente di questo tesoro letterario sostiene l’origine prettamente araba di questo retaggio. Secondo la sua teoria, mentre certe opere come Kalila wa Dimna oppure Ramayana sono state rivendicate dai popoli indiano e persiano, per la nostra opera in questione Malek Chebel conferma la genesi araba, visto il contesto prettamente abasside, tanto da ipotizzare con un certo grado di sicurezza la nascita a Bagdad. Le tematiche potrebbero invece aver preso spunto da altre culture.

Le mille e una notte appartengono oggi al patrimonio universale dell’umanità. Ci raccontano l’Oriente mitico e fantastico. Un Oriente che non esiste piú. Una leggenda, un’immagine evanescente che non corrisponde a nulla di reale. Tuttavia la nostalgia di esso sopravvive nell’immaginario degli scrittori e dei pittori. Considerato una favola, una parabola sulla condizione della donna ovunque e in ogni tempo, questo testo rimane di grande modernità. Shehrazade è una ragazza dei nostri giorni che potrebbe aver scelto di lottare in modo intelligente avvalendosi di un espediente: non attacca direttamente; dà prova di intelligenza, di astuzia, e di capacità di invenzione… Shehrazade è un simbolo, una bella metafora di tutte le letterature del mondo. È normale che ritorni oggi per parlare, raccontare, far sognare uomini e donne non intorno all’Oriente, ma sulla condizione umana qui e ora».  (Tahar Ben Jelloun)

In conclusione … come sottrarsi alla tentazione di riprendere in mano alcune di queste storie?