A-ULì-ULè
Nico Orengo
Salani, 2011

Forse si sta perdendo l’abitudine a scuola di imparare le poesie a memoria. Difficile immaginare il raduno di cento persone che recitano in coro gli stessi versi. Un’eccezione c’è ed è “Ambarabà cicci coccò” il cui inizio è semplicemente un suono imponderabile. “Ambarabà cicci coccò” è una filastrocca ed è l’unico ricordo che abbiamo della prima infanzia: di queste parole in rima abbiamo nella mente un fraseggio senza significato come fosse un colore di cui non conosciamo il nome, ma che è un elemento fondamentale del gusto, della civiltà, della storia di ciascun popolo o di ciascuna etnia. L’origine della parola filastrocca è molto incerta. Strocco o strocca è un tipo particolare di seta filata secondo gli antichi metodi manuali. Forse è la stessa cadenza che assume la parola quando è basata sulla modulazione del suono indipendentemente dal significato che può assumere. Sta di fatto che la filastrocca è un rapporto essenziale fra adulto e bambino che ha inizio dai primi giorni di vita. Da pochi decenni sappiamo che nel ventre materno il bambino “sente” la voce della mamma che risulterà, al momento del passaggio dallo stato liquido a quello dell’aria, l’unico elemento di rassicurazione tra passato e presente. Se le filastrocche vengono usate per rafforzare il rapporto degli adulti con i bambini fin dalla nascita, rileggere questo tipo semplice di composizione è sempre un piacere particolare perché fa scattare nella nostra memoria un mondo lontano che non siamo in grado di ricostruire se non cme sensazione che non permette contorni logici. La ristampa, a distanza di anni, del libro di Nico Orengo A-ulì-ulè è un grosso regalo per qualsiasi adulto. Orengo non si è limitato a scegliere 150 filastrocche, conte e ninnenanne da raccolte più o meno conosciute, ma per ciascun testo ha svolto un lavoro segreto. Questo tipo di composizione poetica, infatti, è stato tramandato per secoli oralmente in dialetto. Orengo ha portato tutto in lingua italiana con estremo rispetto per l’originale e con una dolce imprevedibile tenerezza. Molto congeniali i disegni di Bruno Munari che sembrano suggerire un mondo che può vivere soltanto di fantasia.

(recensione a cura di Roberto Denti tratta dall’inserto de La Stampa Tuttolibri # 1765)