ATTACCHINO
Bruno Tognolini, Gianni De Conno
Gallucci, 2013
Bruno Tognolini, va da sé, fa rima con poesia. Anche quando si dedica – con ottimi risultati, per citare due suoi romanzi per adolescenti che mi hanno rapita: “Lilim del tramonto” e “Lunamoonda” – alla prosa, il suo è un tributo aulico e melodioso al mestiere del buon scrivere.
Si avverte, sotto e sopra le righe, la penna accurata; i termini scelti si sposano tra loro non solo per amor di senso, ma anche secondo un orecchio musicale. E’ un piacere da leggere, ad alta o a bassa voce che sia. E quando un suo testo si unisce, in un albo illustrato, a immagini anch’esse intense, suggestive, piene e realistiche ma velate, allo stesso tempo, di un soave manto in grado di conferire una nota onirica, il connubio è perfetto e ci si addentra nel racconto come in piccolo, affascinante viaggio.

“Attacchino” è il libro e Gallucci l’editore. Bruno Tognolini si accompagna nel lavoro a Gianni de Conno, per la parte figurativa. L’albo, nella veste, già si presenta importante. Elegante, la copertina, ricorda il sogno, la notte, i paesaggi che fanno da sfondo ai desideri. Il titolo, invece, cita con nettezza un mestiere umile, semplice, sovente trascurato. C’è però in questo operaio arrampicato a tappezzare lune con il suo rullo, l’intima magia che fu anche, in altre storie, degli spazzacamini: personaggi poveri che però hanno il dono della fantasia. Mi piace raccontare questo libro in prossimità del Natale, perché trovo che offra una chiave di lettura – una delle tante – anticonsumistica; perché traccia un senso che conferisce all’immaginazione l’immenso potere di esaudire i desideri, e non al denaro o ai beni materiali.

Piero Colla è un attacchino. Il suo lavoro consiste nel comporre gli enormi puzzle dei cartelloni pubblicitari: tanti rettangoli di carta da comporre alla precisione, pezzi che da soli non significano poi molto ma che, una volta assemblati, rivelano il loro messaggio, svelano il miraggio, imboniscono la gente verso ciò che pubblicizzano. Manifesti svettanti e colorati sulle strade e sulle piazze della città. Ma un giorno Pietro Colla è un po’ pensieroso, preoccupato forse: Giovanni, suo figlio undicenne, al mattino è scappato di casa. Se n’è andato – uffa, basta! – stufo di chiedere ai genitori e non avere – quel jeans, quel computer, quel gadget. E’ andato in tilt sulla richiesta più assurda: due piccioni – due! – da allevare sul balcone. La mamma ha detto no, il babbo non ha obiettato e il ragazzo, detto e fatto, è uscito per non tornare. “Tornerà”, pensa Pietro convinto che sia una bravata da quasi adolescente, poco più che una fughetta da ritrattare al momento della cena. E invece niente affatto: alla sera il ragazzino non è ancora rientrato. Stessa cosa al mattino seguente.
L’uomo è un buon padre ma nonostante l’angoscia, e le proteste della moglie, esce per recarsi al lavoro. Ma non sarà lo stesso trantran di tutti i giorni. Radunati i colleghi più fidati e fatta incetta di tutti gli scampoli dei vecchi manifesti pubblicitari, i tre operai si daranno da fare per l’intero giorno e per l’intera notte per…decorare la città. Non un semplice, astratto, strano componimento. No, quello che Pietro e i suoi amici costruiranno, tra colla, carta, rulli e olio di gomito, sarà una via, un condotto magico e irreale capace di riagganciare Giovanni, perso nelle vie inospitali e fredde della metropoli, e riportarlo a casa. Sui palazzi, sui muri, sulle case, pezzi di tante pubblicità che, scomposte e rattoppate diventano un mosaico originale e personale: non più le cose e gli oggetti come sono – come ci raccontano che devono essere quando ci convincono siano necessari – ma quelli che potrebbero essere se solo come ingrediente principale usassimo la nostra fantasia. Perché un cartellone, un manifesto è lucido e tirato e ci narra un realtà patinata. E se invece quella scomposta, colorata, surreale, stramba, vivace, assurda…fosse più bella? O almeno più nostra?

Non soltanto Giovanni ma tutta la gente si incanta, col naso in su, a rimirare la magia. E per il ragazzino un richiamo, alla fine del quale, una calda, e pennuta, sorpresa…

Un albo che è luminoso nonostante i toni non troppo chiari delle sue figure.Una storia buona, lieve e poetica. Umile, semplice e, allo stesso tempo, fantastica. Padri e figli, i primi che immaginiamo pacati e taciturni, giusti e modesti, i secondi che sentiamo stanno crescendo, con le loro turbolenze, i miraggi che ammaliano tutti, le richieste, i testardi battere di piedi, il richiamo de “lo fanno tutti/ce l’hanno tutti”. Case di periferia, il necessario per vivere ma non molto di più. Amore, affetto caldo ma non scenografico. Ancora,l’amicizia di uomini che condividono l’impegno in mestieri faticosi e sempre uguali, ma che non indugiano nell’accompagnarsi e sostenersi nell’impossibile e nel folle. E una città notturna, un po’ solitaria,grigia, ordinata, dove all’improvviso irrompe il colore e il rigore si fa fantasia, e la precisione disordine animato. Bello non essere perfetti, bello non combaciare sempre alla perfezione e andarsene col naso per aria a rimirare non una promessa lucida e shocking di carta ma un sorriso di scampoli scomposti a ricordare che le cose più belle sono quelle fatte da noi, con amore e per amore. Raffinate le grandi e aggraziate illustrazioni di Gianni De Conno. A prima vista, forse, i colori scuri e velati e i punti d’osservazione dall’alto o posteriori restituiscono una punta di freddezza, ma se ci si sofferma oltre la tecnica – precisa – e l’impronta – realistica ed elegante – emergono forza e calore e tutta la bellezza di tavole che sono a buon diritto, veri e propri dipinti.

Età di lettura consigliata: dai 6 anni.

Recensione tratta dal blog Libri e marmellata.