GIACOMO IL SIGNOR BAMBINO
Paolo Di Paolo, ill. Gianni De Conno
Rrose Sélavy, 2015

“Questo bambino, tanto per cominciare, ha sei nomi. Quando gli dite buongiorno non basta dire: buongiorno signorino Giacomo. Bisogna dire: buongiorno signorino Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro”. Avrete già capito, il protagonista di questo freschissimo racconto è Leopardi. Un Leopardi bambino e l’indubbia bravura di Di Paolo è quella di intessere con sapiente maestria il dato autobiografico, così come ci è noto anche dagli scritti del poeta, con la trasfigurazione fantastica o, a dir meglio, con un plausibilissimo e vivido realismo magico. E qui stanno bene le parole di Maurice Sendak quando scriveva che: “La vita onirica e dell’immaginazione è molto concreta per il bambino che è in grado di muoversi facilmente avanti e indietro tra questa e il mondo reale”. Ed è proprio ciò che accade a Giacomo. Non a caso, Martone nella sua nota introduttiva ricorda proprio una frase fulminante dello stesso Leopardi: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto”. Siamo naturalmente nel palazzo di Recanati e Giacomo, contrariamente a quel luogo comune che lo ha sempre visto come triste e solitario, ama moltissimo il gioco e coinvolge in modo irresistibile i fratelli Carlo e Paolina. Certo, il gioco della guerra con Ettore e Achille ma ancor più la grande impresa della battaglia contro la minestra. Ad essa Leopardi dedica addirittura alcuni precocissimi versi che, inizialmente, suonano: “Ora tu sei Minestra, de’ miei versi l’oggetto/E di abbominarti mi apporta un gran diletto”. Il piano è quello di far sparire, con un’incursione notturna, il semolino dalle dispense e far sì che se lo mangino i topi.
Nell’avventura vengono coinvolti anche i giocattoli di Giacomo e i burattini lo seguono in punta di piedi. Ma c’è un imprevisto per i tre fratelli. Il cuoco, e sono quasi le tre di notte, sta rovistando e buttando all’aria tutto quanto e piange disperato. Che cosa è accaduto? Ha perso, lui così ordinato e metodico, una cosa importante, anzi vitale. A farla breve il nostro cuoco ha perduto la felicità. A questo punto è Giacomo a entrare decisamente in scena, con i suoi consigli e la piccola storia ha un lieve finale a sorpresa, e aperto. Ancora una volta Massimo De Nardo ha vinto la non facile scommessa di puntare su autori, bravi e affermati, ma che mai, o quasi mai, si erano cimentati nella scrittura per l’infanzia. Chiudo con una lode speciale per le bellissime tavole di De Conno. Autore perfetto per un testo come questo e proprio in virtù di una sua vena suadente e leggera di surrealismo che lo apparenta – in piena autonomia – a un Brad Holland o un Chris Van Allsburg. Qui poi la scorribanda dei fratelli Leopardi viene calata in atmosfere che rimandano a Hoffmann e al suo Schiaccianoci. Al tempo stesso De Conno riesce magistralmente ad alternare l’inquietudine con il sorriso, la meraviglia con l’attesa, la magia con i sussurri della realtà. Un mondo che è tale anche in virtù di un colore morbido e vibrante, dalle ipnotiche sfumature. Esemplare da tal punto di vista la doppia tavola conclusiva, allusiva e illusionistica. E che dire infine della trionfante e grigia zuppiera dalla quale viene fuori un fumo denso e quasi diabolico con il grande mestolo stillante un semolino color oro fuso. Come in una sorta di laboratorio alchemico.

Età di lettura consigliata: 10+

(recensione a cura di Walter Fochesato, tratta dal # 326 di Andersen)