IL CAMPANELLINO D’ARGENTO
Maria Lai, Gioia Marchegiani
Topipittori, 2017

C’è un pezzo di me che è fatto di Sardegna, ereditato per “affetto di terra” dai miei genitori, e che si sposa perfettamente con la terra occitana e con le Alpi che si fanno mare tra Piemonte, Liguria e Francia che ho avuto in dono alla nascita. E forse spiega anche il rapporto profondo che ho con le isole e l’isolanità (qualcuno direbbe anche con l’isolamento). E nella mia Sardegna c’è Maria Lai: a chi non conosce a fondo la sua storia e la sua opera, forse tornano comunque le fiabe intrecciate o le storie cucite, oggetti dove la trama della narrazione si fa trama fisica di fili, ricami, punti che legano. Io ho con lei un debito di vita legato alla strada delle capre cucite, un po’ per le capre, un po’ per quel 1992 in cui ha creato quest’opera.

Le capre – e finalmente esco dal personalismo e vado al dunque – sono stati animali molto amati dall’artista che si definiva “bambina antichissima” ed ecco che una capretta è protagonista di questa storia, ripresa da una leggenda tradizionale sarda, raccontata a Maria da Salvatore Cambosu e da lei riscritta con un finale diverso. Racconta di un pastore e della sua capretta magica, del ritrovamento di un immenso tesoro da cui i due prelevano solo un campanello d’argento che li rende liberi – l’animale di allontanarsi tranquillo, il ragazzo di disegnare e perdersi nel paesaggi senza tener gli occhi fissi sulla bestiola – e poi del ripensamento. Il pensiero di potersi far ricco spinge il pastore a sogni di stanze e castelli, a minacciare la capra se non ritroverà il tesoro e infine a perderla. Ma Maria Lai fa fare un passo in più alla storia, ricorda al pastore la sua ansia di infinito, il gusto degli spazi e della libertà, dà un ritmo ritrovato al suo cuore e fa nascere musica.

È magia la narrazione ed è magia la serie di illustrazioni che Gioia Marchegiani con maestria le cuce addosso, restituendo al lettore non solo i personaggi della storia, ma la natura tutta dell’isola e la sua cultura: il vento, i sassi, le salite, i cardellini e l’elicriso, i telai e le maschere tipiche del Carnevale sardo. Sono le ombre e i tratti a farsi materia e a dare il senso del tempo, il ritmo della donna che munge e del’uomo che ara, il soffio del vento… c’è un’immagine spettacolare – un peccato forse che sia “rotta” dalla piega della rilegatura – dove un albero scosso dal vento si fa volto e capigliatura intrisa di brezza o forse il contrario. C’è il nero del baratro nel ritrovamento del tesoro che fa da contrappeso alla “grande luce” di cui parla il testo. C’è l’intreccio, semplice e così efficace, del pastore e della sua capra, quando il cuore del primo ritrova l’accordo col suono del campanello.

Età di lettura consigliata: 5+

(Recensione tratta dal blog Le letture di Biblioragazzi, a cura di Caterina Ramonda.)