LA STRAORDINARIA INVENZIONE DI HUGO CABRET. Brian Selznick. Mondadori, 2007

(…) Un’opera che è sicuramente indirizzata ad un pubblico giovane, ma godibilissima anche per chi più giovane non è, a cominciare dall’alta qualità e accessibilità della parte scritta, ma soprattutto per gli stupendi disegni a matita, così pieni di tratti da saturare la pagina, tanto da far sembrare Parigi, che scorgiamo qua e là, sempre in penombra o poco illuminata.
Un racconto di formazione, in cui echeggia spesso la voce di Charles Dickens, non foss’altro perché il protagonista, il piccolo Hugo Cabret, è un orfano che si nasconde nelle segrete della stazione di Montparnasse come i ragazzi persi nella metropoli londinese in Oliver Twist. Hugo percorre le pagine scritte e disegnate per diventare un adulto ed è costretto a confrontarsi con i complicati meccanismi della vita con un’unica risorsa a sua disposizione: un taccuino pieno di istruzioni per rimettere in sesto un curioso uomo meccanico, unico legame con la memoria del padre morto da tempo. La riparazione di questo automa è in tutti i sensi un processo iniziatico che schiude al ragazzo le porte della consapevolezza e diventa, alla fine di tutto, la chiave per capire il passato e costruire un futuro.
Nella poliedricità di questo volume trova cittadinanza onoraria una terza arte, il cinema degli albori, che è, in fondo, il vero protagonista del libro. Le citazioni delle invenzioni dei fratelli Lumière, la fascinazione delle trovate della piccola industria che George Méliès aveva eretto (chi non ha mai perlomeno intravisto Viaggio nella Luna?) infondono ulteriore magia a queste pagine e raccontano la storia di un artigianato irrimediabilmente perduto, quando la settima arte era molto più che multinazioniali interessate a facili guadagni.
Selzenick, quindi, usa due linguaggi e parla di un terzo. L’attinenza tra di essi è lampante: il cinema non è (anche e non solo) narrazione e immagini in sequenza?
E da tutto questo nasce un libro che sfoggia una forma racconto in parte inedita, un ibrido assolutamente affascinate in cui si sommano una perizia e un gusto grafico notevole, una narrazione leggera ed essenziale, un viaggio nella memoria del cinema e delle sue invenzioni di celluloide.
Se in quest’opera si magnifica il cinematografo come arte dell’illusione, lo stesso potremmo dire di questo libro, vero e proprio gioco di prestigio di un autore che sembra uscito dal nulla, ma che ci lascia un dono autentico, vero e del tutto inaspettato.
E’ un peccato che si pensi che questo genere di prodotti sia destinato soltanto ai più giovani. Un preconcetto che a volte ci può far mancare gli appuntamenti più importanti.