UN CALCIO IN FACCIA – STORIE DI ADOLESCENTI ULTRAS. Vincenzo Abbatantuono. La Meridiana, 2006

Se da Oltremanica siamo stati invasi, da qualche anno a questa parte, di libri – più o meno biografici, più o meno credibili – che narrano le gesta di questo o quel hooligan di razza, nel nostro Paese è più semplice imbattersi in pubblicazioni che raccontano la vita tifosa di ultras anonimi o, per meglio dire, di ultras come tanti.
E non è affatto casuale se perfino il più noto tra questi autori, quell’Alberto Lo Mastro da Verona di “banditesca” memoria, non azzardi che pochi e vaghi assaggi di racconti guerreschi, preferendo invece dedicarsi in pagine e pagine di vita semplice, emozioni condivise, storie tuttosommato simili a quelle di tanti altri ragazzi che, anche se in tempi e luoghi differenti, hanno vissuto quella comune passione che in Italia si chiama “curva”.
Non è appunto un caso perché, a differenza della Britannia, qui da noi vivere all’estremo la passione calcistica non si riduce a calci, pugni, vetrine e sedie spaccate, tantomeno a funerei biglietti da visita.
Aggiunge una pagina a questa storia dal basso del mondo ultras italiano, senza velleità di dare lezioni sociopsicologiche ma con una lucidità ed efficacia assai rare, il libro “Un calcio in faccia, storie di adolescenti ultras”.
Il merito va dato a Vincenzo Abbatantuono, educatore, non si sa se per caso o per scelta, che si è trovato, questo sì per caso, ad operare a stretto contatto con giovani o giovanissimi tifosi, riuscendo nel non semplice risultato di dare e ricevere fiducia, stringere rapporti veri, aprire testa ed orecchie all’ascolto, passi fondamentali per potere poi essere ascoltati… cosa che per un educatore è naturalmente decisiva per dare un senso alla propria vocazione o almeno alla propria busta paga.
Il libro, un centinaio di pagine edite da Edizioni La Meridiana, raccoglie le storie di una manciata di giovani supertifosi juventini, storie che sembrano scritte tutte di un fiato ed anticipate da una sfiziosa introduzione dell’autore, a sua volta inguaribile pallonaro, che risveglierà nostalgie mai sopite in chi, come colui che vi sta tediando, ha abbondantemente superato la soglia degli “…enta”. Già, trent’anni ed oltre, la metà dei quali li trascorsi con la buona abitudine di vivere il calcio dal vero, cioè allo stadio, cioè in curva o guardando la curva (che non è uguale ma va bene lo stesso…): ti volti indietro e, proprio leggendo questo libro, pensi che i ragazzi di cui stai leggendo pensieri, rabbie, sogni, paure, cazzate, imprese ti somigliano poco, e che somigliano poco anche a come si era ultras 15 anni fa.
Intendiamoci: nessun pippone del tipo “…ai nostri tempi, sì che…”, piuttosto l’evidenza che in così poco tempo sembra cambiato il mondo, ma anche la sensazione che forse ad essere cambiata meno di tutto, per fortuna e alla faccia di tanti predicatori, è quella fetta di gradoni che sta dietro le porte dei nostri stadi. Il salto generazionale causa per forza di cose una specie di brivido che, soprattutto se ultimamente le curve le guardi (appunto) e non le vivi, ti porta persino a dubitare che lì in mezzo oggi potresti forse sentirti a disagio.
Non lo pensi fino in fondo, forse, perché preferisci anzitutto credere che, mai quanto oggi, la vita di curva possa supplire, nonostante tanti limiti ed eccessi, a quello che questi ragazzi faticano a trovare in famiglia, a scuola, tra gli amici “normali”, laddove per normalità si intende l’omologazione, la mercificazione, un pensiero unico che conduce al “pensare unico”, poco importa che sia di destra, di sinistra o di nessuna parte.
“Mi sono trovato imbarazzato, consapevole e nello stesso tempo testimone della grande solitudine di tanti ragazzi, che non trovano altra via per uscire dall’anonimato”: così disse Daniele Segre, nel 1996, a proposito dei suoi “Ragazzi di Stadio” di fine Anni Settanta.
Nonostante sms, mms, chat, mail, smart drug, web cam mi sembra che i ragazzi del XXI secolo siano messi anche peggio, completamente abbandonati a se stessi: oggi più che allora, davvero, il gruppo, la curva, la mentalità sono ancore di salvezza in una società forse più ricca ma
sicuramente disorientata e disorientante.
Anche per questo, dunque, avanti ultras!
Nonostante tutto e tutti.

A cura di Lele Viganò