Eschilo e la pace dell’anima: come prendersi cura di sé (con i classici)

Una SPA per l’anima, Cristina Dell’Acqua, Mondadori, 2019

Essi entrano nella nostra vita di ogni giorno, senza salire in cattedra per dirci come si sta al mondo ma come buoni amici, raccontando come loro stessi cercano di vivere trasformandosi quotidianamente e restando in dialogo aperto e vivificante con l’esistenza, proponendo anche a noi che leggiamo di fare lo stesso. Autori a cui «impariamo a dare del tu e in cui troviamo un nuovo amico, che possiamo frequentare a lungo per conoscerlo, amarlo, comprenderlo. Come si fa con le persone interessanti». Prendendosi il tempo giusto per farlo, così come ci si prende del tempo per andare alla spa e dedicarsi alla propria bellezza tanto interiore quanto esteriore, che è esattamente ciò che il libro invita a fare per dedicarsi ad una buona cura di sé.

Non siamo solo quel che mangiamo

La lettura produce un incontro unico e speciale tra chi ha scritto e chi legge: unisce, tessendole insieme, culture e storie differenti pur mantenendo quanto di comune c’è tra i due interlocutori: l’animo umano. In particolare leggere miti e fiabe, tragedie o testi filosofici può consolare, guidare, spronare, confortare, può suggerirci possibilità e percorsi per aiutarci a fare i conti con i nostri desideri, le nostre paure e le varie situazioni che caratterizzano la nostra vita. «Noi non siamo solo quel che mangiamo e l’aria che respiriamo — scriveva Tiziano Terzani —. Siamo le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto. Sebbene molti usino le storie come puro intrattenimento esse sono, nel senso più antico, un’arte curativa». Concorda con lui Clarissa Pinkola Estès, poetessa e psicanalista statunitense: «Dentro le storie c’è una colonna di umanità unita attraverso lo spazio e il tempo. Esse sono disseminate di istruzioni che ci guidano nella complessità della vita».

Socrate, Epitteto, Marco Aurelio e Cicerone

Se ci pensiamo, effettivamente, i miti e le storie poggiano su catene umane di cui Socrate, Epitteto, Marco Aurelio, Epicuro, Seneca, Cicerone, e molti altri fanno parte e che da sempre si interrogano sul vivere e il morire e da sempre vivono e muoiono, amano e lottano. Le storie sono un patrimonio di cultura, appartenenze e identità, sono un tesoro etico che va a toccare il rapporto tra il destino personale e l’eterno, sono l’anello di congiunzione tra la singolarità della persona e la sua universalità. Sono una sorta di canovaccio che vale per ognuno di noi, ma che chiama ciascuno a scrivere su di esso e attraverso di esso dettagli differenti, soggettivi, speciali perché unici e individuali come lo è ogni persona. Permettono le preziose esperienze del rispecchiamento e dell’immedesimazione nei personaggi che patiscono e agiscono in contesti verosimili e si fanno occasione di cura dell’anima perché ci provocano, ci mettono in gioco, ci spiazzano o ci irritano. Certo non ci lasciano indifferenti. È interessante sapere che uno degli esercizi spirituali della filosofia antica, come ci ricorda il filosofo e scrittore francese (scomparso nel 2010) Pierre Hadot, è proprio l’esercizio del leggere: prima di tutto perché le teorie e i testi filosofici nascono al servizio della pratica spirituale e sebbene ogni scritto sia sempre un monologo, l’opera filosofica è implicitamente anche un dialogo, perché è sempre viva in essa la presenza dell’interlocutore. E poi perché, a suo avviso, «noi passiamo la vita a leggere ma non sappiamo più fermarci, liberarci dalle nostre preoccupazioni, ritornare a noi stessi, lasciare da parte le nostre ricerche della sottigliezza e dell’originalità e meditare con calma, ruminare, lasciare che i testi ci parlino».

Storie che ci parlano

Così quello proposto da Cristina Dell’Acqua è un vero e proprio percorso, che prende il via dall’affermazione «esiste un classico a misura di ciascuno: non siamo noi a leggere i classici ma loro a leggere noi» e mentre il testo antico ci legge, ci interpella, ci emoziona esploriamo la nostra anima e apprendiamo come prendercene cura. «Storie che ci parlano, a seconda della nostra sensibilità e del momento in cui le leggiamo, e ci raccontano di noi, delle nostre passioni e delle nostre fragilità». Esattamente come ci aspettiamo che faccia un buon libro, di quelli che quando lo finisci ne senti la mancanza immediatamente. «La letteratura sa farci questi regali: mostrarci le sfaccettature dell’essere umano, farci entrare nei panni altrui per arrivare a noi». Un libro, quello di Dell’Acqua, che permette la riscoperta e la valorizzazione dei testi classici non solo come fonte di piacere, ma come motore per avviare e consentire veri e propri percorsi di benessere, che vengono suggeriti al termine di ogni capitolo, perché diventino azione trasformativa che proprio dal testo trae ispirazione. Un testo che si fa ponte e connessione tra il passato e il presente, come evoca anche l’opera in copertina dell’artista Luca Pignatelli che sceglie per le sue opere soggetti antichi proposti su materiali moderni. Un viaggio che giustamente e per fortuna non prescinde dall’amore per le parole, dalla rivelazione che proviene dalla scoperta della loro etimologia: «Siamo le parole che usiamo, il nostro orizzonte ha l’ampiezza del nostro vocabolario e trovare la parola giusta è un esercizio di profondità». L’autrice le parole le ha davvero scelte al meglio per aiutare chi legge ad arrivare al cuore del messaggio e innamorarsi, come lei, della lettura di questi autori.

Età di lettura consigliata: 15+

Recensione di Laura Campanello, tratta da Liberi Tutti, rubrica de Il Corriere della Sera.