sabato 2 febbraio alle 18
presso la libreria
INAUGURAZIONE
della mostra
PRIMA CHE SORGA IL TEMPO
viaggio fotografico in 22 immagini di FILIPPO SCHILLACI

“Una sera del 1991 ascoltai il Prometeo di Luigi Nono fra le astratte solitudini di Gibellina. Quella stessa notte la lunga attesa di un treno inesistente in una piccola stazione deserta in compagnia d’una sconosciuta ragazza svizzera che non rividi mai più, costituì il naturale completamento dell’ascolto: la notte si spalancava nel silenzio crescente, ogni cosa si ritraeva nelle ombre. Buio e silenzio. E quella perfezione cominciò ad apparirmi l’unica verità.
Passò un anno e incrociai casualmente un’opera di Mario Sironi, Mondo arcaico: una pietrosa, grigia, appena sbozzata figura umana che osserva stupefatta lo spazio, il tempo innanzi a sé. Accanto ha forme primigenie, appena uscite dal nulla e ancora prive di nome, di senso, di scopo. Non è un paesaggio che in esse si osserva ma un concetto, o forse di più, uno stato delle cose.
Tornai quello stesso anno a visitare dopo molto tempo Akrai ritrovandovi quel respiro di arcaismo, di tempo al principio del suo fluire, che solo le rovine più antiche riescono a dare. Sarà forse per la scala minima delle cose, o forse perché esse affiorano appena, stentatamente si direbbe, dalla terra, dalle rocce, suggerendo l’idea di una vita appena emersa dal nulla, dall’informe. Accade insomma che qui, più che altrove, si entra in contatto con uno stato primigenio delle cose del tutto estraneo al nostro presente, uno stato al di là del quale non c’è la vita, non c’è la morte, soltanto l’inesistenza, il non ancora accaduto.
Trovai nella roccia la metafora che mi consentiva di esprimere tutto ciò: la roccia che non conosce ancora lo scultore e la cui immagine è la potenzialità d’ogni scultura. La prima materia insomma, a monte, mille gradini più a monte dell’opera aperta teorizzata qualche decennio prima da Umberto Eco. Tornare indietro, come fa dire Tarkovskij a uno dei suoi ultimi personaggi, lì dove è stata imboccata la strada sbagliata. Ma non si pensi al solito, reazionario ritorno al passato. Il “passato” qui non c’entra nulla. Piuttosto, un aprirsi a prima del passato, a quello stato primigenio delle cose che non essendo ancora nulla può ancora essere tutto, che non è ancora forma ma che contiene in sé la possibilità molteplice di tutte le forme. Tornare alla possibilità dunque. Al non raggiunto, e insieme alla possibilità del raggiungibile. Un viaggio. Un viaggio verso il momento primigenio contenente la ricchezza, la libertà sconosciuta del: tutto può ancora essere poiché nulla è ancora stato. Poi sorse il fluire del tempo. Alcune cose cominciarono a essere, cancellando con ciò tutte le altre. E tutto, progressivamente, s’impoverì.”
(Filippo Schillaci)

Filippo Schillaci si occupa di fotografia dal 1982 e di linguaggio cinematografico dal 1994. Come fotografo ha sviluppando parallelamente per qualche tempo uno stile figurativo, in cui si avverte l’influenza della fotografia di David Hamilton e della pittura impressionista, e una tendenza all’astrattismo verso il quale si è poi interamente orientata la sua attenzione fino a pervenire a esiti vicini all’informale. In campo cinematografico si è occupato in particolare dell’opera di Andrej Tarkovskij, Godfrey Reggio e Silvano Agosti. 
Dal 1994 al 1998 ha collaborato con il Museo dell’Immagine Fotografica e delle Arti Visuali dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
Ha partecipato all’opera collettiva Immagini in libertà, il cinema in esilio di Silvano Agosti e ha tenuto lezioni sul linguaggio cinematografico nell’ambito del master New media e comunicazione presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.